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Venti al suolo e venti in quota: perchè spesso soffiano in direzioni diverse?

Cerchiamo di capire perchè, molto spesso, il vento al suolo non ha la stessa direzione del vento in quota.

Avete mai provato ad osservare il vento al suolo? Sicuramente sì, ma forse non vi siete mai accorti che il vento che sentite sulla vostra pelle ha una direzione spesso diversa, se non opposta, al moto delle nubi. Da qui nasce la differenza tra vento in quota (chiamato anche "geostrofico") e vento al suolo. Ma perchè, spesso, ad altezze diverse vi sono venti diversi? Il motivo va ricercato nella conformazione dell'orografia locale: se una zona risulta montagnosa, il vento al suolo sarà soggetto alla forza di attrito della massa d'aria contro i rilievi e di conseguenza le differenze tra la quota e il suolo saranno più marcate. Viceversa in una zona pianeggiante le differenze saranno minori, fino a scomparire quasi del tutto se ci si trova in mare aperto. Cerchiamo di capire bene il concetto risalendo alla definizione di vento. Immaginate di avere due bicchieri, uno quasi vuoto e l'altro pieno fino all'orlo e pensate di collegarli con una cannuccia dotata di rubinetto; quando il rubinetto si apre, l'acqua passerà dentro la cannuccia dal bicchiere più pieno verso quello più vuoto e il flusso si arresterà quando nei due bicchieri l'acqua avrà raggiunto la medesima quota. L'aria, che è un fluido, si comporta allo stesso modo: se in una zona la pressione atmosferica è più alta (bicchiere pieno), mentre in un'altra è più bassa (bicchiere mezzo vuoto) si creano i presupposti per un flusso (che in questo caso sarà di aria) che si muoverà dalla zona a maggior pressione verso quella con pressione atmosferica minore. Il flusso cesserà quando le due pressioni saranno uguali. Ecco il vento. Il discorso sembra semplice, ma non lo è. Difatti il ragionamento fila a scala locale, ma quando si cerca di estenderlo a scala planetaria entra in gioco una variabile in più: la rotazione terrestre. "Ogni corpo libero di muoversi sulla terra subisce una deviazione verso destra rispetto alla sua direzione di spostamento nell'emisfero nord e verso sinistra nell'emisfero sud". Questa legge, nota anche come legge di Coriolis, influenza le masse d'aria in movimento deviandole dalla loro direzione originaria. Di conseguenza le correnti non potranno più seguire la "regola del bicchiere", ma seguiranno la traiettoria risultante tra la semplice "forza barica" e la legge di Coriolis. Se immaginiamo, per esempio, di avere una zona di pressione più bassa sulla Francia e una più alta sul mar Ionio, se non ci fosse la rotazione terrestre il vento andrebbe dal mar Ionio verso la Francia, per colmare il divario barico. Così non è, in quanto la forza di Coriolis devia la massa d'aria verso destra e la dispone parallelamente alle due zone di pressione. Ne deriva un vento da sud ovest e non da sud est. Tutto questo discorso vale, come abbiamo già detto, per i corpi liberi di muoversi sulla terra e per "liberi di muoversi" si intende senza qualsiasi tipo di attrito. Già qui si può capire che il vento che soffia in prossimità del suolo non è libero dall'attrito della superficie terrestre. Conseguentemente la legge di Coriolis non si applica, o si applica solo in parte in questo caso. Tornando al discorso della depressione sulla Francia e dell'alta pressione sul mar Ionio, le correnti in quota seguono la risultante tra la legge di Coriolis e la forza barica e sono disposte da sud ovest. Al suolo la forza di attrito contro la terraferma e le catene montuose annullano l'effetto Coriolis. Il risultato è un ritorno da parte delle correnti al suolo a seguire la "regola del bicchiere" disponendosi da sud est. Ecco allora che un osservatore da terra sente il vento soffiare da sud est, mentre vede le nubi in quota muoversi da sud ovest. Più la zona è montagnosa, più l'attrito sarà marcato e la differenza tra il vento al suolo e quello in quota sarà più accentuata. Quasi tutte le perturbazioni in Italia si annunciano con venti da sud ovest in quota e da sud est al suolo. Quando si ha la combinazione di questi due venti, la pioggia non è lontana.

Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia ...

Ebbene la spiegazione è semplice: il 13 dicembre, Santa Lucia, per l'appunto, è il giorno in cui il sole tramonta prima rispetto a qualsiasi altro giorno dell'anno, tra le 16:38 e le 16:40 in Italia, ma è anche vero che l'alba avviene intorno alle 7:30.

Questo ci porta a concludere che in realtà il giorno più corto dell'anno, vale a dire quello con meno ore di luce, è il 21 dicembre, nonché solstizio d'inverno: il sole sorge infatti alle 7:35 e tramonta alle 16:43, per un totale di 9 ore e 5 minuti di luce contro le 9 ore e 9 minuti del 13.

In conclusione quello di santa Lucia è effettivamente il giorno in cui il sole tramonta prima, ma ciò non presuppone anche che sia il più corto dell'anno, che è invece il 21 dicembre, quello che ha in assoluto meno ore di luce.

APP e previsioni meteo: "just an illusion"

Pranzo all'aperto: che tempo farà tra una settimana alle ore 13.00 a Roma, Villa Borghese? Mano allo smartphone e il tempo non ha più misteri. La risposta corretta invece sarebbe un'altra: just an illusion, traduzione italiana: previsione impossibile. 

Un modo certamente singolare per iniziare la nostra consueta chiacchierata, ma che vuol essere volutamente d'impatto affinchè sia chi "ama" il tempo meteorologico, sia chi semplicemente lo usa, stiano in guardia dalla meteo tanto al chilo. Al centro dell'attenzione loro, le gettonatissime APP meteorologiche, qui discusse per dare a Cesare quel che è di Cesare, dimostrare la loro quasi totale inutilità e distinguersi dalle mode del nulla globale.

"Ooops, cade un mito", sussurrerà qualcuno pensando alla sua APP, così carina da dar del filo da torcere alla propria moglie-fidanzata. "Questo è pazzo", penserà qualcun altro rivolgendosi al sottoscritto come se fosse stato colto da "delirium omnipotens".

Ma perchè queste APP non sarebbero in grado di suggerirci correttamente le previsioni del tempo a scala locale, perchè sarebbe tutta un'illusione? Ve lo spieghiamo con parole spicce ma efficaci.

I simbolini utilizzati nelle APP sono l'output grafico di un algoritmo matematico che, con metodo invisibile all'utente, estrae un dato numerico da un modello fisico-matematico. Ogni azienda che fornisce il servizio si appoggia infatti ai modelli fisico-matematici, quelli elaborati dai grandi Centri di Calcolo mondiali per simulare l'andamento dell'atmosfera, gli stessi sui quali si basano le previsioni del tempo in versione integrale per intenderci. Ebbene, apparentemente la soluzione di utilizzare un dato numerico e trasformarlo in dato grafico fruibile a tutti, by-passando la "noiosa lettura" dei vecchi bollettini, parrebbe geniale. E invece ecco l'intoppo.

Tanto per iniziare i modelli fisico-matematici suddividono l'area geografica di interesse in una griglia, la cui risoluzione orizzontale e verticale varia a modello a modello ma che non scende al di sotto dei 20-25 chilometri (reali). Guardate la figura in basso: se le leggi della Fisica fossero semplici calcoli dilettevoli, ogni volume all'interno della griglia potrebbe fornirci lo stato dell'atmosfera in un dato istante e dunque permetterci di prevedere il tempo con una risoluzione pari appunto a 20-25 chilometri. Purtroppo invece le equazioni utilizzate nel procedimento previsionale sono talmente complesse (non lineari) che per essere risolte devono essere ridotte in forma algebrica, quindi approssimate. Per questo motivo i dati disponibili non si riferiranno più agli spazi ai volumi posti all'interno della griglia, bensì ai soli punti della griglia (procedimento noto come discretizzazione).

Cosa significa? Che per ottenere una risoluzione minima, dovrò procedere come se volessi disegnare un'onda e dunque collegare almeno 4-5 punti della griglia. Il che equivale moltiplicare la nostra risoluzione per 4-5 ottenendo pertanto una risoluzione reale di circa 100 chilometri. Per di più i punti su cui sono stati inseriti i dati di rilevazione, possono non coincidere con una data località. Si opera dunque un'ulteriore approssimazione, "spostando" il dato verso la località desiderata e mischiandolo con quello del punto di griglia più vicino (processo noto come interpolazionecosì da ottenere il dato medio di ogni volumetto d'aria.

Dunque, riassumendo: discretizzazione, interpolazione, aggiungiamoci anche insufficienza o eventuali inesattezze dei dati iniziali, passi di griglia di 100 chilometri, e siamo solo al tempo che fa tra un'ora! Ma facciamo anche un passo indietro: andate a controllare la vostra APP: vi sta rappresentando correttamente il tempo di che fa adesso? Si, no, forse... e poi, risoluzioni minime di 100 chilometri e noi ci illudiamo di conoscere il tempo su un quartiere di Roma tra una settimana? Se, come diceva il buon Lorenz, un piccolo errore ai dati iniziali, causa un processo a cascata che, nel processo di previsione, fa crescere l'errore in via esponenziale con il passare dei giorni, va da sè che le nostre APP nel giro di poche ore diventano uno strumento assolutamente inutile, addirittura dannoso per chi depone in esso false speranze. Non ci credete? Provate, interrogate le vostre APP, chiedete il tempo previsto sulla vostra località tra 15 giorni a una data ora, annotate i dati previsti in questo momento e poi andateli a ricontrollare tra un'ora, tra sei ore, domani, dopodomani, giorno dopo giorno. Non avrete che prender nota dei numerosi voltagabbana, di tastare con mano la loro quasi totale inutilità.

Purtroppo per noi, carissimi lettori, la Meteorologia fa eccezione con il resto del mondo. Qui la scienza non fa passare lo straniero. Qui le mode non attaccano. Qui non si possono sfornare strumenti predittivi modello Nostradamus. Qui non è consentito barare, ne tanto meno banalizzare. Qui all'alba del terzo millennio, le uniche previsioni affidabili (seppur anch'esse approssimate) rimangono quelle "noiose", fruibili dai bollettini, magari antiquate e antipatiche, ma che lasciano ancora all'utente la discrezionalità, l'iniziativa di interpretare le parole, l'intuito per capire in proprio il tempo che farà, l'abilità concreta di immaginarlo sulla propria località. Un procedimento che sa di retrò ma che ci permette ancora di usare il cervello, ci consente ancora di rimanere legati con l'ultimo filo di lana al mondo reale. E di questi tempi, scusate se è poco...

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