"Flying over the fog"

 

 

 

Era una mattina di dicembre, ed esattamente era il 15 dicembre dell'anno 2016. Era una di quelle mattine di inizio inverno brumose, cariche di umidità, ma comunque con il cielo sereno. Se devo proprio essere sincero, non avevo tanta voglia di andare a volare perché, alla fine dei conti, non è che fosse proprio una giornata invitante, di quelle giornate che ti viene voglia di stare un po’ con i piedi per aria, soprattutto per il freddo che ti tocca sopportare.

Ma tant’è, un volo è sempre un volo, e se la voglia di volare supera lo ‘sbattone’ di prepararsi, imbacuccarsi come uno spaventapasseri, caricare tutta l’attrezzatura in auto e così via, allora merita di andare.

E con il senno del poi, menomale che ci sono andato!

Arrivato sul prato, messo l’asta segnavento in terra, ‘annusato un po’ l’aria’, decido che si, era il caso di andare in volo.

Comincio a prepararmi, soliti movimenti ed azioni che ormai, avendoli ripetuti centinaia di volte vengono spontanei, controlli ok e allora…, si va! Una energica corsetta e sono in aria!

Una volta decollato e sistematomi nell’imbrago, penso di avere fatto bene ad andare a volare. Infatti, superata quella quota di inversione, dove sotto fa freddo e vedi poco a causa della foschia, ma sopra tale strato ti si apre il mondo perché la temperatura si alza (tipica situazione invernale che si chiama ‘inversione termica’) e la vista diventa impagabile in quanto l’atmosfera è talmente limpida che ti sembra di toccare le cime dei monti con un dito, tutto diventa magia!

Il mondo diventa colorato, nitido, pulito. L’aria ha il profumo della neve fresca e se pensi che sei agganciato ad un aquilone, libero nell’aria, tutto diventa improvvisamente magico e surreale.

Mi dirigo verso ovest, sulla collina morenica di Rivoli, magari con l’intenzione di andare a salutare Indeuord e fargli girare un po’ le balle perché io sono in volo e lui no (HIHIHI)!

A mano a mano che volo verso ovest, le Alpi diventano sempre più grosse, più maestose ed imponenti. Mi sento piccolo e provo un profondo senso di rispetto verso di esse. I dettagli diventano sempre più nitidi, più vivi e ti senti vivo!

L’aria era ferma e pareva proprio di essere comodamente seduto su una poltrona mentre ti stai godendo un fantastico film.

Ero immerso in questo meraviglioso incantesimo e, chissà poi perché, giro la testa verso sud, alla mia sinistra. E cosa vedo?? Uno strato di nebbia a perdita d’occhio, con una luce riflessa dal sole a dir poco abbagliante, che dagli appennini liguri, chiaramente visibili, arrivava fino a qualche kilometro da dove ero io in quel momento. Era un incanto perché la nebbia, tanto monotona e fastidiosa a terra, sopra assomiglia ad un mare agitato, pieno di onde di diverse dimensioni e forme.

E allora… CHE FARE (come diceva qualcuno tanto tempo fa)? Ci penso un attimo, continuo ad andare verso ovest, rigiro la testa, guardo nuovamente quel mare di vapore acqueo che sembra quasi chiamarmi. OK, adesso o mai più!!!

Un bel respiro e viro a sinistra di oltre 90 gradi e mi dirigo verso quella luce cosi intensa che quasi mi ubriaca!

Mentre mi avvicinavo pensavo a quello che mi aveva detto, non molto tempo prima, il mio amico Indeuord che, onore al merito, di volo se ne intende.

Mi aveva raccontato, parlando proprio di volo con il paramotore sulla nebbia, di stare sempre e comunque ai bordi di quel mare bianco ed apparentemente agitato in quanto se, e ribadisco se, il motore si fosse spento, si poteva sempre effettuare un atterraggio di emergenza in piena sicurezza su qualche prato nelle vicinanze. Viceversa, se ci si inoltrava troppo sul manto nebbioso e se si fosse spento il motore (magari a causa della estrema umidità), non si sarebbe visto dove si andava a finire, con un epilogo decisamente disastroso!

L’adrenalina ricominciava a scorrere nelle vene, il cuore ricominciava a battere veloce. Non è da tutti fare quello che mi accingevo a compiere appesi ad un parapendio. Mi sentivo vivo!!!

Dopo una decina di minuti arrivo presso quel muro nebbioso e mi raccomando di stare sempre sopra quel mare sconfinato e sempre ai bordi di esso, di ascoltare bene il suono del motore e, ai primi colpi di tosse dello stesso, ripiegare immediatamente verso il lato scoperto dalla nebbia.

Comincio a volarci sopra, dapprima a qualche decina di metri e poi, piano piano, prendendo confidenza, ed abbassarmi sempre di più fino a ‘toccarla’ con i piedi.

Avanti ed indietro, sempre su quell’ipotetico segmento e sempre ai bordi di esso.

Pareva davvero di essere in un altro mondo, in una dimensione diversa che non tutti possono sperimentare.

E mi sentivo un privilegiato, capivo che gli sforzi economici e fisici che avevo sostenuto per imparare a volare mi stavano ripagando in tutto, come in ogni volo d’altronde.

Ero cosi felice che mi pareva di perdere la cognizione del tempo e dello spazio, consapevole che quella magica esperienza sarebbe stata unica in tutta la mia vita (ed infatti ad oggi non mi è più ricapitata, anche perché, per colpa del riscaldamento globale, la nebbia non c’è praticamente più). Oltretutto, era un giorno lavorativo, e sadicamente pensare che sotto di me il mondo lavorativo stava correndo ed io mi stavo divertendo, mi stava facendo sentire ancora meglio!

Ricordo che pure un collaudatore della allora FIAT (stavo volando avanti ed indietro proprio sulla loro pista di collaudo) si era fermato ed era sceso dall’auto per osservarmi meglio. Scorgevo che mi stava anche facendo delle foto! Ed era stato fuori, con la testa all’insù per diversi minuti prima di risalire sull’auto ed andare via.

Erano già una ventina di minuti che gironzolavo là sopra quando mi accorgo che un po’ oltre si erano formate delle protuberanze verticali oltre il mare nebbioso agitato e luminoso. Assomigliavano a giganteschi panettoni, alti e larghi qualche decina di metri oltre la coltre nebbiosa.

E di nuovo, ‘che fare’?

O adesso o mai più!

Faccio un bel respiro e mi dirigo verso uno di quei panettoni bianchi abbaglianti. A mano a mano che mi avvicinavo, quella ‘collina’ di nebbia diventava sempre più grossa, più imponente tanto da sembrare quasi infinita. Avevo il sole alle spalle e comincio a vedere la mia ombra proiettata su quel muro bianco ed e causa della rifrazione della luce vedo un bell’arcobaleno a fianco di essa. Sembrava un dipintio ad acquarello. Proseguo!

O adesso o mai più!

Ma cosa potrebbe succedere? O niente, o che l’umidità faccia spegnere il motore, ma tanto volavo sempre ad ‘emergenza’ ed avevo sempre un prato a vista a lato disponibile per un atterraggio improvvisato. Di atterraggi di emergenza ne avevo, mio malgrado, dovuti effettuare alcuni in precedenza e avevo piacevolmente verificato che non capitava assolutamente nulla.

Quindi, proseguo verso quel muro che diventava sempre più gigantesco e vicino. Alla fine arrivo all’inizio di esso, vedo la mia ombra che si avvicina e diventare della mia dimensione, il cuore pompa all’inverosimile sangue carico di adrenalina. Istintivamente mi viene da alzare le mani davanti alla faccia fredda come un ghiacciolo, come per proteggermi da un ormai inevitabile impatto e… ZAK !!!!!!!!!!!! Entro dentro!!!

Di colpo passo da una vista a dir poco paradisiaca, colorata e meravigliosa, in un ambiente che sembra ovattato e bianco opaco, come essere effettivamente dentro un banco di nebbia. L’odore della nebbia, umido e ammuffito mi entra nelle narici, davanti a me vedo solo bianco pallido, il sole non c’è più. Alzo il capo verso la vela e la vedo a malapena, tutta sfuocata ma bella stabile sopra la mia testa.

Proseguo dritto (almeno spero perché nelle nubi o hai almeno una bussola o se viri non te ne accorgi proprio) ma consapevole che, anche se non vedevo dove stavo andando, al più sarei uscito dall’altra parte e mi sarei ritrovato sopra il mare agitato ma sempre in una condizione di sicurezza.

Il motore girava limpido e costante, la vela era sempre sopra di me (e dove doveva essere d’altronde?), il cuore batteva e respiravo, quindi ero vivo.

Vivo fuori ma sopratutto dentro!

Dopo interminabili secondi, comincio a scorgere la nebbia diradarsi, comincio di nuovo a vedere oltre e, piano piano, esco da quel piccolo monticello di vapore acqueo, ed i sensi riprendono un’altra caratteristica.

Da un ambiente ovattato, umido, cieco, più freddo ed ammuffito, ad un ambiente più caldo, soleggiato e nuovamente a colori, colori vividi e pieni di energia!

FANTASTICO!!!!

Dopo mezzo minuto, tempo di registrare nella memoria a lungo termine del cervello ciò che avevo appena vissuto, faccio un 180 e torno indietro e ripeto ciò che avevo appena compiuto, consapevole del fatto che sarei ripiombato in un altro mondo, solo più luminoso questa seconda volta perché, al contrario della prima, avevo il sole davanti.

Ricordo bene di essere andato dentro e fuori da quel panettone bianco candido fuori e bianco sbiadito dentro almeno altre due o tre volte.

Dato poi che alla vita non bisogna chiedere troppo, decisi che ne avevo avuto a sufficienza! Tirai dritto verso l’atterraggio che raggiunsi dopo una decina di minuti di volo, con il sole alle spalle e quindi con un bel freddo addosso.

Quando atterrai, prima di rimettere tutta la attrezzatura in macchina ed andare a casa, mi sedetti sull’erba secca invernale del prato, alzai lo sguardo al cielo, verso un sole reso pallido dalla foschia. Pensai profondamente a quello che avevo appena vissuto, quello che avevo provato, consapevole del fatto che, con ogni probabilità, non avrei mai più ripetuto una esperienza del genere.

Mi sentivo, nel mio piccolo, fortunato perché non è da tutti. Io vivo per le piccole cose! Ma sono le piccole cose che danno più soddisfazione!

Chiusi gli occhi, respirai profondamente. L’aria fresca, umidiccia ma profumata di erba che mi entrava nei polmoni mi stava facendo capire che ero vivo, e non solo fisicamente.

Ero vivo dentro, che è la cosa più importante della vita!

 

Ho ringraziato l’Universo per avermi concesso una esperienza cosi intensa e gratificante, poi ho rimesso tutta l'attrezzatura in macchina e sono andato a casa a farmi una bella doccia calda!